Dal pezzo a firma di Paolo Di Cesare e Eric Ezechieli – Founder di NATIVA, pubblicato su Econopoly de il Sole 24 Ore il 10 Aprile 2024:
Secondo i dati più recenti sulle Società Benefit in Italia dell’Osservatorio nazionale della Camera di commercio di Brindisi – Taranto e InfoCamere, a fine 2023 erano 3619 le aziende che hanno scelto di inserire le finalità di impatto sociale e ambientale nel proprio Statuto a integrazione dell’obiettivo di profitto, con un valore della produzione cumulato pari a oltre 40 miliardi di euro e un capitale umano che conta più di 180.000 persone. Il trend di crescita è esponenziale: da 0 a 400 imprese nei primi 4 anni dall’introduzione della legge in Italia, per arrivare poi a quasi 4000 nei successivi 4 anni.
Se fosse un’unica azienda, sarebbe la più grande azienda italiana per numero di addetti e ai primi posti per fatturato. Un traguardo che pone ancora una volta il nostro Paese sotto le luci dell’innovazione e del cambiamento.
Ma anche un salto quantico rispetto al luglio 2012 quando, in procinto di fondare la prima società con uno statuto ‘Benefit’ in Europa, la domanda di registrazione di NATIVA fu respinta per quattro volte dalla Camera di Commercio di Milano perché l’oggetto sociale non era conforme al Codice Civile, che al tempo contemplava il solo scopo di lucro per le società di capitali.
Nel modello Benefit è centrale il valore che un’impresa crea per il territorio, le persone e i propri portatori di interesse a integrazione del valore economico generato.
I manager di queste Società ricevono infatti un mandato più ampio dagli azionisti, che permette loro di agire in un campo da gioco più grande: perseguire un impatto sociale e ambientale nell’esercizio dell’attività economica, bilanciando così gli interessi di pochi (gli azionisti) con gli interessi di molti (società e ambiente). Le NON benefit non hanno nel loro DNA questa libertà. E questa rappresenta una differenza profonda, destinata a determinare un solco tra passato e futuro.
Secondo il Global Risk Report 2024, pubblicato al World Economic Forum di Davos, “molte economie rimarranno in gran parte impreparate per gli impatti ‘non lineari’ del cambiamento climatico. La capacità collettiva delle società di adattarsi potrebbe essere sopraffatta”.
I fenomeni governati da trend esponenziali, già noti da tempo, con il manifestarsi dei loro effetti visibili prima “impensabili”, cominciano ad essere considerati dal mondo politico e economico come causa di profonda discontinuità. Nei prossimi anni vedremo aumentare la confusione causata dalla rottura di modelli di business consolidati ma ci troveremo di fronte a un’opportunità straordinaria di evoluzione verso modelli sempre più tendenti alla rigenerazione.
In questo scenario le Società Benefit possono rappresentare un’alternativa per un nuovo modello economico che erediti il valore del sistema capitalistico lasciando indietro gli errori, ovvero abbandonando il modello estrattivo, a cui è oggi consentito di creare valore per pochi senza considerare quanto viene estratto o distrutto nel sistema.
Le Benefit sperimentano nuovi meccanismi di governance e principi operativi che possono guidare le decisioni verso una solida evoluzione delle performance dell’azienda sui punti di vista economico, sociale e ambientale in maniera integrata, aumentando nel contempo la resilienza per navigare gli scenari imprevisti che ci troveremo di fronte.
Il sistema Benefit è comunque ancora poco noto: non si tratta solo dell’ufficializzazione delle finalità di beneficio comune all’interno dello Statuto e dell’obbligo di perseguirle, la legge prevede che ogni Società Benefit debba misurare il proprio impatto e rendicontare obiettivi e risultati, pubblicandoli assieme al bilancio. In questo senso, l’adozione della qualifica Benefit non rappresenta un traguardo, bensì un punto di partenza, una condizione abilitante per adottare una governance evoluta e adatta alle sfide del nostro tempo.
Le Benefit comunicano in maniera trasparente e si mettono nella condizione di essere identificate dagli stakeholder, esponendosi spontaneamente in termini di accountability. Si trovano Società Benefit in tutti i settori, dall’alimentare alla moda, dalla meccanica alla finanza, ci sono micro imprese, PMI, grandi società, quotate, utility a capitale misto pubblico-privato.
La maggiore diffusione sarà ulteriormente potenziata anche da iniziative amministrative regionali, quali ad esempio il regolamento delle Società Benefit introdotto dalla Regione Puglia e il progetto di legge n. 204 della Regione Veneto. E anche comunali, come ad esempio l’iniziativa ‘Un’impresa Comune’, promossa da Roma Capitale e NATIVA, che mira a rendere la città la capitale mondiale delle Società Benefit, creando un nuovo ecosistema urbano – potenzialmente di oltre 140.000 imprese – impegnato a generare un impatto positivo sul territorio e sulle persone.
L’auspicio è che il movimento raggiunga una massa critica in cui le Benefit già costituite proseguano il loro cammino volontario di evoluzione, tracciando la strada per molte altre che Benefit ancora non sono o non sanno ancora di poterlo essere.
La forza del movimento, dell’insieme delle Benefit, è data dal perseguire una visione comune, in linea con l’aspirazione più profonda di ogni imprenditrice o imprenditore: quella di lasciare una legacy, dando un contributo a creare una società e un ambiente migliori di quanto trovato, di agire per essere dei buoni antenati. Questo desiderio genera una straordinaria apertura all’innovazione e al miglioramento.
Il sogno è che le Società Benefit diventino la normalità, arrivando a 40 mila o 400 mila al più presto. E che quando due imprenditrici o imprenditori si incontreranno, un possibile scambio possa essere: “Ma come, sei ancora una NON Benefit?”