Le elezioni europee di giugno saranno un momento chiave per le politiche dell’Unione Europea in ottica di sostenibilità. Il loro risultato potrebbe confermare l’impegno preso dell’Europa con il Green Deal, oppure, più probabilmente, segnare un cambio di direzione rispetto agli impegni presi e che sono stati un esempio a livello globale.
In occasione di ImagiNATION, serie di eventi che NATIVA organizza per immaginare collettivamente un sistema Paese sostenibile verso cui tendere, abbiamo intervistato Luca Iacoboni, Responsabile delle Relazioni Esterne e Strategia per la Decarbonizzazione del think thank ECCO Climate, per parlare proprio delle elezioni e di come il clima non rappresenti a un argomento a sé stante, ma una parte integrante dell’agenda.
Ciao Luca! Partiamo dalla tua esperienza personale: come sei arrivato a occuparti di cambiamento climatico e politiche energetiche?
Sono cresciuto con l’ambientalismo dentro casa, ho solo dovuto capire come declinarlo, come farlo mio. Poi misteriosamente sono finito nella facoltà di economia che sembrerebbe piuttosto lontana dal tema e, in effetti, ai tempi lo era. Ma io sono stato tra i primi laureati in economia con un focus su ambiente, clima e via discorrendo.
Da quel momento è venuto tutto molto naturale: sono riuscito a coniugare l’ideale dell’ambientalismo- della sostenibilità se vogliamo- con l’economia, e viceversa. È nato tutto da casa: mi accompagna da sempre, ma poi si è evoluto spontaneamente in questa forma.
È un piacere vedere che oggi un percorso come il mio, che all’epoca era un’eccezione, è diventato la norma al punto da definire quelle che ci aspettano climate elections. Oggi di clima si parla tantissimo, che sia un bene o un male, è diventato realtà qualcosa che dieci anni fa era assolutamente impensabile e questo è un grande cambiamento che va compreso e gestito.
Entrando nel merito di quello che fate con ECCO: avete analizzato molto bene lo scenario politico nei diversi Paesi europei per capire quali possono essere le prospettive per le elezioni europee di giugno. Ci dici un po’ che aria tira in Europa?
Tira un’aria mista secondo me. Ci si aspetta uno spostamento verso destra, e questo è risaputo, ma in Italia abbiamo visto, ad esempio, che il risultato delle elezioni in Sardegna ha cambiato completamente l’aria che si respirava fino a pochi giorni prima, e lo stesso vale per altre elezioni in Europa negli ultimi mesi. Sicuramente si respira un’aria pregna di contenuto, di cambiamento su larga scala, perché ci sono anche le elezioni americane. Per quanto riguarda le europee, come dici, noi abbiamo fatto un grosso studio sugli scenari politici possibili. Gruppi parlamentari, elezioni, commissione: la realtà è che tutto questo fa parte di uno schema politico molto più grande e oggi fare delle previsioni sarebbe quasi fare delle scommesse. Ci si potrebbe spostare effettivamente molto a destra o a sorpresa invece no, potrebbe tenere una determinata alleanza o potrebbe saltare, potrebbe effettivamente esserci il clima al centro solo della campagna elettorale e poi non nella pratica, oppure sì ma affrontato in maniera diversa: sono tutte cose che stiamo iniziando a vedere. Quello che noi vogliamo fare è capire come il tema del clima può essere declinato nei diversi scenari che ci potremmo trovare davanti. Come si potrà trattare il tema del clima a seconda del parlamento e della commissione che avremo. Questa è sicuramente la cosa centrale.
Molto probabilmente avremo una commissione che parlerà molto meno di clima– questo è fuori discussione- però parlerà di più, nelle nostre previsioni, di sicurezza, di competitività a livello di impresa, di industria, di migranti. Se isoliamo tutti questi temi stiamo parlando di clima.
Il clima è il più grosso fattore migratorio- ormai è abbastanza acclarato- ed è un fattore di competitività enorme. La sicurezza è anche sicurezza energetica: oggi sentiamo parlare tanto di Piano Mattei, quindi di qualcosa che riguarda gli investimenti del nostro Paese sul piano energetico all’estero, in particolare in Africa, tutti legati alla sicurezza energetica. Quindi, in realtà, di fronte a un grosso cambio di narrativa, il clima rimarrà al centro.
Crediamo che il clima non debba essere trattato come un argomento a sé stante, ma come parte integrante dell’agenda. Il Green Deal è un provvedimento principalmente economico che dall’altra parte dell’oceano è stato chiamato Inflation Reduction Act, IRE. Non c’è la parola clima, ma stiamo parlando di questo. Ed è notizia di pochi giorni fa che una grande azienda tedesca che produce pannelli solari abbia deciso di spostare la sua produzione negli Stati Uniti. Quindi, in fin dei conti, che si parli di competitività, che si parli di migrazione, che si parli di sicurezza, sostanzialmente la lente del clima sarà sempre lì. Senza contare che oggi il clima attraversa anche le questioni sociali e lo si può raccontare anche così. Un esempio è la direttiva FPT, che riguarda l’efficienza energetica, che può essere raccontata come “l’Europa ci impone di cambiare le nostre case” oppure può essere raccontata come “c’è un grande incentivo per riqualificare le nostre case”, partendo da quelle dei ceti che oggi non possono permettersi abitazioni efficientate: questa non è una politica legata al clima, ma al welfare.
Ecco, io credo che il cambio di chiave di narrativa serva sia a destra del panorama politico, sia a sinistra: non dobbiamo perdere di vista il fatto che il clima sia un argomento trasversale, che ne tocca tantissimi altri.
Chiudiamo con la domanda di rito, che facciamo a tutti gli ospiti. Quale vorresti che fosse la legacy della generazione a cui appartieni?
La generazione a cui appartengo è più vecchia dei Fridays for Future e più giovane di chi oggi è nei veri posti di potere in Italia. Io mi auguro che la legacy della mia generazione possa essere veramente quella di smettere di parlare di clima e di utilizzare il clima mentre si parla, si legge, si discute di tutte le altre politiche, che si chiamino politiche industriali, che si chiamino sistema di governance, che si chiamino finanza.
Ecco, mi auguro che non si riempiano più le piazze parlando di clima come elemento a sé, ma mi auguro si riempiano le piazze parlando di politiche sociali, industriali, agricole, incorporando il clima come elemento trasversale.
Mi auguro anche che finisca una volta per tutte la responsabilizzazione individuale, di cui la mia generazione credo sia molto responsabile, per andare verso la pretesa di un cambiamento più profondo, che rimetta in discussione un’economia non tanto e non solo legata ai combustibili fossili, ma legata a un modello estrattivista che applicato al green può fare danni tanto gravi quanto quelli che abbiamo visto fin qui e che se invece viene scardinato può portare a un cambio radicale e desiderabile di stile di vita.