Come NATIVA, abbiamo partecipato alla COP16 sulla Biodiversità, tenutasi a Cali dal 21 ottobre al 1° novembre 2024, in qualità di osservatori per Regenerative Society Foundation. L’evento, a cui hanno partecipato Silvia Zanazzi (Chief Regeneration Scientist) e João Bernardo Casali (Latin American Lead) di NATIVA ha rappresentato un’occasione preziosa per approfondire le connessioni tra la tutela della biodiversità e l’integrazione di pratiche sostenibili nei modelli economici e finanziari.
Partecipare ad una COP è insieme un’esperienza frustrante e stimolante. Si vivono direttamente le enormi complessità delle negoziazioni multilaterali che si incagliano sempre quando si tratta di mobilizzare risorse economiche, ma è anche un’occasione per confrontarsi con esperti da ogni parte del mondo, esplorare visioni diverse e sentirsi parte di una comunità globale che affronta sfide comuni. Di ritorno dalla COP16 sulla biodiversità di Cali risulta ancora più evidente l’importanza del ruolo delle aziende. In un contesto in cui i governi mostrano una leadership ancora incerta, spetta infatti al settore privato guidare il cambiamento, accelerando strategie nature-positive per evitare che i costi dell’inazione diventino irreversibili.
Un tema ricorrente nei numerosi eventi aziendali organizzati a margine della COP16 è stata la necessità di attivare percorsi di collaborazione tra stakeholder. Coalizioni come Business for Nature, che ha presentato un appello sottoscritto da oltre 230 aziende, dimostrano l’importanza di un’azione congiunta. L’invito rivolto ai governi è chiaro: servono politiche e regolamenti più stringenti per incentivare il settore privato ad agire concretamente, in linea con gli obiettivi del Quadro Globale per la Biodiversità, che mira a invertire la perdita di natura entro il 2030.
Parallelamente, cresce il numero di aziende che sviluppano soluzioni innovative, dal monitoraggio avanzato alla rigenerazione degli ecosistemi. Questo fermento dimostra che il mondo imprenditoriale non sta solo aspettando direttive dall’alto, ma sta cercando di costruire strumenti per agire.
L’accordo Kunming-Montreal, e in particolare il target 15, chiede agli stati di imporre alle aziende la rendicontazione dei propri rischi e impatti sulla biodiversità. In Europa, questa spinta normativa è già realtà con la CSRD, portando a una maggiore attenzione delle imprese sul tema. Tuttavia, il momento è anche caratterizzato da grande frammentazione e il proliferare di standard, coalizioni e metodologie rischia di generare smarrimento. Secondo uno studio condiviso da CDP (il Carbon Disclosure Project che ha allargato lo scope di competenza anche alle disclosure su acqua e foreste) durante la COP, solo il 7% delle aziende e delle istituzioni finanziarie ha già iniziato a valutare le proprie dipendenze dalla biodiversità. Da un altro studio sempre condiviso alla COP (Trellis, The State of Biodiversity and Business 2024) il 33% delle aziende ha intrapreso un assessment formale dei rischi, delle dipendenze e degli impatti sulla biodiversità. Tra le principali barriere: la mancanza di standard condivisi e di competenze specifiche, segnalate rispettivamente dal 47% e dal 56% delle aziende. La competizione per le risorse interne, in particolare con i progetti legati al clima, rappresenta un ulteriore ostacolo, indicato dal 54% degli intervistati.
Per superare queste sfide, le aziende devono cambiare mentalità. Non possono più considerare la natura come una fonte illimitata di risorse, ma devono riconoscerne la fragilità e il valore intrinseco. È essenziale sviluppare strategie che integrino la rigenerazione degli ecosistemi con la decarbonizzazione, affrontando in modo sinergico le sfide del clima e della biodiversità. Le aziende devono agire ora, mentre gli strumenti e gli standard si affinano, per non trovarsi impreparate di fronte a un contesto che richiede sempre più trasparenza e responsabilità. Il costo dell’inazione sarebbe altissimo, sia in termini economici che di rischio esistenziale per le imprese.
Nonostante le attuali complessità, i framework emergenti, come TNFD e SBTN, possono offrire un punto di riferimento. Adottati rispettivamente dal 50% e 40% delle aziende, stanno infatti cercando di creare sinergie per semplificare l’approccio e favorire l’adozione di strategie nature-positive e sarà quindi importante per le imprese monitorare gli sviluppi in questa direzione nei prossimi mesi.
Infine, per le aziende è importante considerare un’importante decisione della COP16: l’istituzione del Cali Fund, un fondo globale per condividere i benefici commerciali derivanti dall’uso dei dati genetici digitali (Digital Sequence Information). L’accordo prevede contributi per le aziende al di sopra di determinate soglie di profitto o ricavi per compensare i vantaggi commerciali ottenuti grazie all’impiego di DSI in ambito principalmente farmaceutico, cosmetico e nutraceutico. Il contributo rimane per ora su base volontaria, ma è comunque un segnale che le imprese devono iniziare a considerare seriamente.
La COP16 lascia un messaggio chiaro: la tutela della biodiversità non è un’opzione, ma una necessità. Le aziende che sapranno anticipare questa transizione avranno un vantaggio competitivo nel plasmare un futuro sostenibile. È tempo di investire in formazione, risorse e innovazione, e di mettere la natura al centro delle strategie aziendali.