Articolo pubblicato il 23 ottobre 2024 su Milano Finanza, a firma di Guido Ferrari Bravo – Regenerative Finance Catalyst di NATIVA
Secondo un recente report della Climate Bonds Initiative, nel periodo 2018-2023 le emissioni di Sustainability-linked Bond hanno raggiunto globalmente i 279 miliardi di dollari, con l’Italia in cima alla classifica con 49,5 miliardi, seguita da Francia, Germania e Cina. Un segnale della crescente consapevolezza da parte della finanza del ruolo di catalizzatore che può ricoprire per accelerare la transizione delle nostre imprese.
Tra gli strumenti a disposizione, i “prodotti Sustainability-linked” (in particolare Bond e Loan) agiscono sul costo del denaro attraverso clausole di bonus/malus legate alle performance di sostenibilità delle aziende beneficiarie. Conservano, inoltre, una maggiore flessibilità rispetto a strumenti come i Green Bond, non prevedendo vincoli sull’impiego dei fondi e potendo quindi essere utilizzati per finanziare attività non necessariamente legate a finalità ESG.
Se da un lato i Sustainability-linked Loan e Bond incentivano le aziende a muovere passi concreti (a volte i primi) in ottica di sostenibilità, talvolta si assiste a un’eccessiva semplificazione nella definizione degli indicatori di valutazione delle performance sociali e ambientali, pur con il nobile obiettivo di allargare la platea di accesso o di rendere il prodotto più comprensibile per gli investitori. Questo modesto livello di approfondimento comporta il rischio di non incidere sugli impatti più rilevanti per l’evoluzione sostenibile dei beneficiari, riducendo di fatto l’efficacia dei prodotti. Ad esempio, un tasso di interesse connesso a un punteggio ESG generico, o all’impegno a pubblicare un report di sostenibilità, difficilmente riuscirà a stimolare una trasformazione del modello di business, dei processi e della cultura di un’impresa.
Come può dunque la finanza abbracciare al meglio questo ruolo e generare il massimo impatto positivo? La soluzione a portata di mano è quella di integrare il concetto di materialità all’interno dei prodotti ESG-linked, come suggerito nelle linee guida dell’International Capital Market Association. I temi cosiddetti ‘materiali’ per un’azienda sono quegli aspetti che determinano il maggior impatto (positivo o negativo) sull’ambiente e sulle persone e che dipendono da fattori come il settore di appartenenza, le dinamiche territoriali e il mercato del lavoro. A livello settoriale sono definiti da standard come GRI e SASB, ma sono anche esplorati dalle singole imprese attraverso le “analisi di materialità”, coinvolgendo i propri stakeholder nell’identificazione dei temi prioritari su cui basare la strategia di evoluzione. Per questo, un’operazione Sustainability-linked a supporto di un’azienda di torrefazione non avrà lo stesso impatto se, ad esempio, stimolerà esclusivamente programmi di crescita professionale della forza lavoro, senza invece affrontare aspetti cruciali del settore come il rispetto dei diritti umani nella filiera.
In sintesi, sebbene la semplificazione dei parametri possa favorire la diffusione di prodotti sustainability-linked, con un’insufficiente attenzione alla materialità la finanza rischia di perdere l’opportunità di guidare un cambiamento concreto nelle aziende e di influenzare intere industrie, oltre a incorrere nel rischio di essere accusata di greenwashing. Valutando anche il fattore materialità, come cambierà in futuro la classifica della Climate Bonds Initiative?